EDGUY - Space Police-Defenders of the Crown

Nuclear Blast
Volevano fare un disco più potente del solito gli Edguy. Più pesante del consueto. Più heavy tra tutti i loro album composti in carriera: ci sono riusciti. Space Police-Defenders of the Crown è un disco pregevole, fatto di tanto forza ed energia, ma anche di tanta tecnica, qualità e competenza. L'undicesimo lavoro degli Edguy, che esce a distanza di tre anni dal precedente Age of the Joker, è un lavoro straordinariamente power, che si districa tra riff, assoli ed un battito di pelli costante. In tutto questo s'incastona la voce di un Tobias Sammet in forma eccellente, che tra le note della sua band madre diventa più cattivo e feroce, meno melodico rispetto al progetto Edguy ed anche più diretto.Determinante nella buona riuscita di Space Police-Defenders of the Crown, ci sono le due chitarre di Dirk Sauer e Jens Ludwig, che ben si sposano tra una serie di arrangiamenti vorticosi. Poi c'è la palpabile intesa tra il basso di Tobias Exxel ed i tamburi di un Felix Bohnke puntuale e preciso.
La forza degli Edguy è quella di scrivere sempre ottime canzoni, dall'impatto immediato e dalla presa facile, come Space Police, un brano moderno ed attuale, supportato da riff ipnotizzanti ed un ritornello penetrante. Aspetti differenti dall'opener Sabre & Torch, un brano che per stile ed approccio sembra uscito dalla penna dei Gamma Ray. Se con Defenders of the Crown gli Edguy pigiano sull'acceleratore mostrano una rapidità d'esecuzione estatica, Love Tyger con un palese approccio Van Halen, si conferma la classica heavy hit da classifica, destinata a confermare gli Edguy nell'Olimpo del metal mondiale. The Realms of Baba Yaga è una cavalcata di grinta e carisma, Do Me like a Caveman invece mostra gli aspetti più innovativa di una band che conferma sempre una coerenza di fondo volgendo lo sguardo al futuro, stesso dicasi per Shadow Eaters, altro bando tipicamente power. Alone in Myself è un pezzo poetico dall'impronta Magnum, mentre la conclusiva The Eternal Wayfarer nei suoi otto minuti complessivi e nel suo ricordare Tears of a Mandrake per via di un vellutato letto di tastiere, mette l'accento sullo spessore tecnico e compositivo di una band che ormai non ha più rivali e si conferma un'autentica certezza.

Voto: 8,5/10

Maurizio Mazzarella