MYRKUR - Mareridt

Relapse
Due anni sono passati dal precedente disco “m” per la bella e brava musicista danese amalie bruun e il suo progetto Myrkur, un progetto totalmente dedicato alle sfumature estreme musicali e non solo del black metal; qui parte integrante del filo artistico del progetto. La nostra mette l’arte al suo servizio; si potrebbe dire che è una one woman band, visto che la bruun, compone, canta e suona quasi tutti gli strumenti, ad eccezione della batteria, che viene suonata da Rex Myrnur. La titletrack, posta in apertura, ci porta in terre lontane, con vocalizzi della nostra, un tappeto di tastiere e rumori di tempesta sullo sfondo; la nostra ha una voce soave e il brano è molto evocativo. “Maneblot” è puro black metal, blast beats, chitarre fredde e maligne dai riffing norvegesi, e la nostra che usa toni angelici e scream acidissimi; un brano che ha al suo interno un’epicità di fondo con percussioni e un violino; un brano che conserva malvagità e aggressività stemperato dal canto angelico della nostra. “The serpent” si muove anche qui nel solco del metal estremo, chitarre grezze e quasi doom e tempi lenti ci portano verso una dimensione dolorosa ma anche evocativa, grande apertura nel ritornello, con la Bruun fa da contrasto con la sua voce angelica. “Crown” tocca sonorità scure, suoni dolenti, archi e un piano quasi un blues alla Nick Cave, per la sua aria tetra e malinconica; grande brano, minimale ma dal grande impatto emotivo.

“Elleskudt” torna al metal più grezzo, anche qui la cifra stilistica è un doom metal, teso, con chitarre e un mid tempo pesante mentre la nostra usa toni vocali soffici, quasi un contrasto, salvo alzare il tono nel ritornello; c’è anche un’epicità sottolineata da linee di chitarra, e qualche riferimento al black metal in interventi in scream sussurrato davvero inquietante della Bruun. “De tre piker” è evocativa, toccante brano folk, solo con un tappeto di tastiere, percussioni e la nostra che ci porta in terre lontane, con un intervento di violino e nel finale, delle chitarre in sottofondo. “Gladiatrix” è un brano intenso, anche qui non si tocca solo l’aspetto metal, ma uno spirito che evoca emozioni e tempi lontani; il metal che si fonde con il folk in un nuovo orizzonte, dove percussioni, scossoni metal con blast beats e chitarre si confrontano con voci pulite e angeliche, epicità pura. “Kaetteren” è folk ricco di atmosfera guerresca, percussioni e violino portano la marcia, un brano strumentale che profuma di antico. La conclusiva “Bornehjem” è ricca di evocazioni antiche, una sorta di rito antico attorno al fuoco che crepita; una celebrazione pagana, con vocalizzi sonori e un tappeto di tastiere appena accennato e una voce narrante, una grande conclusione. Un grande disco, un ritorno eccellente, che è metal, ma non solo; è estremo, e ricco di epicità pagana e culto sacro antico, dove il folk viene declinato in un’atmosfera antica e lontana nel tempo; eccelso. 

Voto: 8/10 

Matteo ”Thrasher80” Mapelli